Un viaggio attraverso i ricordi
Chiara Massimi

Osservando il quartiere attraverso la lente del ricordo dei suoi abitanti è possibile immergersi nella quotidianità di un tempo passato, agli esordi degli anni del boom economico. Analizzando il contenuto delle interviste è emerso uno spaccato di vita quotidiana molto differente rispetto al vissuto moderno degli spazi cittadini. Lo spazio urbano densamente costruito che caratterizza il quartiere di Lucento, nella metà degli anni ’50 si distingueva per ampie distese di campi e aree per il pascolo. Le caratteristiche del territorio conferivano una dimensione maggiormente rurale alla vita dei cittadini, che ricordano lunghi tragitti per raggiungere scuole, luoghi di lavoro e aggregazione. Le lunghe distanze sono evocate dagli intervistati in modi diversi, oscillando tra il ricordo di passeggiate nelle giornate di sole e quello di percorsi su strade sterrate, avvolti dalla nebbia e dal fango.
«La via aveva la strada, ma la strada era sterrata […] Per recarsi a scuola, ad esempio alle medie o alle elementari, noi attraversavamo un ponticello, passavamo dietro a quella che adesso è la scuola dell’infanzia Bechis e attraverso i prati arrivavamo alla scuola.» (Sandra)
«C’erano ancora i contadini che coltivavano qui dietro, pascolavano le capre, le pecore, insomma, eravamo in piena campagna! Le case per i profughi le hanno costruite sempre agli estremi, in periferia, perché si pensava già di allargare la città, quindi in periferia si facevano le case popolari […] Poi adesso non c’è più la nebbia che c’era una volta. Ma quando veniva la nebbia non si vedeva neanche dove camminare. Mi ricordo, sì.» (Antonio ed Egidio)
Le ampie distese verdi e gli oratori erano i principali luoghi di incontro e di gioco per i bambini, mentre i bar e i circoli rappresentavano i punti di ritrovo prediletti dagli adulti nel loro tempo libero. Anche i condomini venivano vissuti come degli spazi comunitari in cui tutti si conoscevano.
«In generale qui si viveva o negli oratori o proprio nel giardino, nei prati, perché eravamo proprio in mezzo ai prati. Era anche proprio strutturata diversa la giornata, di te bambino […] la domenica si andava a vedere la televisione al bar, e si andava a giocare a bocce a Santa Caterina, oppure si andava al ristorantino che c’era e si ballava al De Angelis, era anche una vita molto più semplice» (Sandra)
«Si cominciarono a organizzare le gite al mare. Si lavorava ancora per sei giorni a settimana e quindi restava la domenica, ma poi non ci sarebbe stata alternativa, come fai a dormire fuori? Non si sarebbe potuto. E allora organizzavano il pullman per andare al mare. Praticamente si partiva presto per riuscire, dopo cinque ore di viaggio, ad arrivare alle dieci al mare e poi rimontare verso le 17/18. Una fatica tremenda, ma che era molto attrattiva per i giovani.» (Giorgio)
Il quartiere viene descritto come luogo ricco di piccoli negozi di vario genere: panetterie, macellerie, drogherie, sartorie, tintorie, latterie… tutti servizi che pian piano sono andati scomparendo a causa dell’arrivo dei grandi supermercati. Questi negozi, frequentati quotidianamente dagli abitanti, rientravano all’interno dei luoghi di socialità in quanto contribuivano a creare una rete comunitaria di quartiere. La descrizione di quartiere come ‘’dimensione di paese’’ che spesso è emersa all’interno delle interviste emerge anche attraverso ricordi legati all’olfatto (odore del pane e dei biscotti per le strade) e all’udito (canto del gallo la mattina e assenza di rumore del traffico odierno).
«La chiusura dei negozi al dettaglio ha modificato la socialità del quartiere […] Era un paese…non ci si sentiva soli, c’erano tanti punti di riferimento» (Anonimo)
«E poi c’era quello che vendevano il ghiaccio era un camion giallo con queste barre di ghiaccio e arrivava con questa trombetta, ‘’Giasè’’! Per chi aveva le ghiacciaie. […] L’assenza del frigorifero faceva sì che uno dovesse fare la spesa tutti i giorni perché altrimenti andava a male la roba insomma. E quindi anche questo incideva nei ritmi di chi lavorava.» (Giorgio)
Il Villaggio di Santa Caterina, in particolare, si presentava in alcuni aspetti molto diverso rispetto a oggi. Quello che ora conosciamo come un’area esclusivamente residenziale, nei suoi primi anni ospitava anche alcuni servizi situati al pian terreno dei blocchi abitativi. La presenza di questi servizi influiva notevolmente sulle dinamiche sociali di Santa Caterina, che veniva percepita dagli intervistati come un luogo più vivace e animato. Per far fronte alla carenza di scuole nelle immediate vicinanze, venne costruita temporaneamente una baracca su Corso Toscana e furono adibiti a scuole i piani terra di alcuni blocchi del 30° quartiere IACP. Sempre all’interno del 30° quartiere si trovavano anche l’asilo, l’oratorio femminile e un laboratorio. Tra i servizi ancora attivi nel quartiere SB1, è importante ricordare il Circolo Istriano, Fiumano e Dalmata di Via Parenzo, che ha costituito un punto di riferimento fondamentale per i profughi istriani, fungendo da luogo di incontro e di condivisione.
«In due di questi edifici a torre c’erano le Suore che tenevano un asilo e in più avevano l’oratorio femminile, perché fino agli anni 60/inizi 70, gli oratori erano separati di maschile e femminile […] c’è il residuo dell’altalene, perché lì c’era tutto il cortile dove giocavano le bambine […] Invece nella terza, quella d’angolo, c’era questo laboratorio tenuto dal comune in cui facevano i grembiali, soprattutto degli spazzini, pantaloni e cose di questo genere, con una paga come elemento integrativo del bilancio familiare.» (Giorgio)

«Questo di sopra era un locale unico. Qui sotto c’erano tre serbatoi da 100.000 litri di gasolio. C’erano tre serbatoi qui e avevamo detto, poi ci costruite sopra, ci fate un piano sopra, un piano sotto e ci fate il circolo. Qui dietro c’era una torre piezometrica da 28 metri, per i fumi […] L’hanno fatta brillare, abbiamo anche un documentario sul Tg3.» (Antonio ed Egidio)
