La Zona E6
Humelnicu Adnana
Sono ben visibili le due tipologie di edificato ben diverse tra loro: due edifici con sviluppo orizzontale, e ben 16 edifici “a torre” con sviluppo verticale. Gli edifici furono costruiti in 4 step differenti: Gennaio 1963 con la Legge 17, Novembre 1963 con la Legge 1460, Novembre 1965 con la Legge 1179 e infine nel Marzo 1968 con la Legge 422.
L’isolato E6, situato a ridosso di Corso Grosseto (Fig. 1) , è frutto dello I.A.C.P. negli anni ‘60, per mano degli architetti Nello Renacco, Mino Fiocchi, Roberto Gambino e Chiuminatto.
Nella planimetria di progetto iniziale del 1963 (Fig. 2) furono previste all’interno del lotto varie attività appartenenti al settore terziario, quali una scuola materna, una elementare e una secondaria di primo grado, oltre a un centro religioso e uno sociale, tutte previste al centro dell’isolato. Furono previsti anche degli spazi destinati alle attività commerciali, sia in una porzione di lotto più periferica, a ridosso di Corso Cincinnato, sia nei porticati progettati tra gli edifici a torre.

Come appena accennato, gli edifici a torre (Fig. 3) erano stati progettati con dei passaggi coperti tra l’uno e l’altro, che potevano consistere in veri e propri spazi porticati al piano terra, oppure delle grandi tettoie di forma esagonale che andavano a incastrarsi dentro gli edifici. Per questi spazi è prevista anche la funzione di spazio distributivo e di ingresso agli edifici.
Questi edifici con sviluppo verticale, estremamente caratteristici del lotto, di sette piani fuori terra e uno interrato adibito a cantine, si possono considerare regolari in facciata e in pianta, portando con sé schemi simmetrici. Anche i materiali con cui furono costruiti si possono catalogare come coerenti con l’epoca di costruzione, perciò si tratta di mattoni e cemento armato in struttura e in facciata, coppi invece sulla copertura, tutti molto utilizzati negli anni ‘60 in Italia. Anche gli edifici con uno sviluppo orizzontale (Fig. 4), che abbiamo chiamato “a stecca” possono avere un’analisi analoga a quella degli edifici “a torre”, con la differenza ovvia di avere meno piani, 5 per la precisione, presentando anch’essi degli spazi porticati alternati al piano terra. Entrambe le tipologie sono dotate di vano ascensore, rendendoli così accessibili a più persone.
Analizzando internamente gli edifici a torre (Fig. 5), possiamo notare che nel loro sviluppo verticale ospitano 4 appartamenti per piano, ipotizzati quadrilocali con un bagno e spazio distributivo, tutti e quattro simmetrici tra loro, portandoci così ad avere per ogni edificio almeno 24 unità abitative, non contando il piano terra adibito a spazio distributivo e amministrativo dell’edificio. Vengono perciò ipotizzati 80 mq di superficie abitata per ogni unità. Anche la distribuzione dei pilastri risulta regolare.
Anche l’edificio orizzontale (Fig. 6) presenta internamente una distribuzione per lo più simmetrica, presentando 22 alloggi per piano per un totale di 110 unità abitative.
Rispetto al progetto originale del 1963, oggi possiamo notare delle differenze. Guardando il lotto come macroarea si può subito notare come l’organizzazione spaziale dello spazio esterno sia cambiata, in quanto presenta forme più sinuose e meno rigide di quelle progettate, includendo anche un aumento degli spazi verdi. Ovviamente è aumentato anche il numero di parcheggi previsti rispetto agli anni “60 dovuto all’incremento dell’utilizzo dell’automobile privata, e di conseguenza sono state costruite anche delle strade carrabili interne al lotto, inizialmente non previste. Anche i servizi previsti sono cambiati con il tempo, dando luogo a una scuola secondaria di secondo grado al posto di quella di primo grado, non sembra esserci più un centro sociale ma soltanto religioso, mentre i servizi commerciali non sono presenti come previsto nel progetto originale. Rimangono però la scuola materna ed elementare. Sembrano rimanere invariati anche gli edifici, sia nell’aspetto esterno che nell’organizzazione interna, comprendendo anche l’aspetto materialistico e costruttivo.




Villaggio di Santa Caterina
Simone Calò
Il Villaggio di Santa Caterina si trova nel quartiere Lucento, nella Circoscrizione 5 di Torino. In passato, questa zona era chiamata “Borgata Lucento” ed era circondata da aree agricole e cascine. Il villaggio confina con altri complessi di edilizia popolare, costruiti negli anni ’50 e ’60 grazie a finanziamenti pubblici.
Un contesto storico difficile
Negli anni ‘50, Torino stava affrontando le conseguenze della Seconda Guerra Mondiale: molti edifici erano stati distrutti dai bombardamenti, mentre la popolazione cresceva rapidamente grazie allo sviluppo industriale. Per far fronte all’emergenza abitativa, lo Istituto Autonomo per le Case Popolari (IACP) avviò la costruzione del Villaggio di Santa Caterina, progettato dall’architetto Nello Renacco con la collaborazione di Ferruccio e Riccardo Grassi.
In quel periodo, la città viveva una fase di espansione senza precedenti. Le fabbriche attiravano lavoratori da tutta Italia, creando un mix culturale unico ma anche nuove sfide sociali e urbanistiche. La necessità di case economiche e salubri era quindi cruciale per evitare fenomeni di marginalità sociale.


Un progetto per diverse comunità
La costruzione del villaggio iniziò nel 1954 e si sviluppò in tre lotti: SP1, SB1 e Quartiere 30°. Ogni lotto fu finanziato con leggi diverse, destinate a gruppi specifici della popolazione:
- Case per i piemontesi: finanziate dalla legge 408 del 1949, pensata per costruire case popolari con canoni calmierati. Queste abitazioni erano destinate prevalentemente a lavoratori locali.
- Case per i profughi: costruite grazie alla legge 137 del 1952, che aiutava le persone sfollate dalle ex colonie italiane e dai territori istriani, offrendo loro una nuova possibilità di integrazione.
- Case per le famiglie in difficoltà: sostenute dalla legge 640 del 1954, destinate a chi viveva in baracche o alloggi precari, spesso famiglie del Sud Italia trasferite per lavoro.
Queste abitazioni erano affittate a prezzi accessibili, con la possibilità di acquisto futuro, favorendo così una stabilità abitativa a lungo termine.

Un’architettura funzionale e sociale
Il primo lotto (SP1) comprendeva edifici a sviluppo longitudinale e alcune costruzioni a torr La disposizione degli edifici creava spazi aperti, come cortili interni, pensati per favorire la socializzazione tra i residenti. Tuttavia, col tempo questi spazi sono stati usati principalmente come aree verdi ornamentali, perdendo in parte la loro funzione originale.
I successivi lotti (SB1 e Quartiere 30°) seguirono un’impostazione simile, alternando le due tipologie edilizie. Questa varietà architettonica rispondeva all’esigenza di creare un ambiente equilibrato, evitando l’effetto di “casermoni” spesso associato all’edilizia popolare dell’epoca.
Il progetto originale prevedeva anche servizi fondamentali per i residenti, come una biblioteca, un ambulatorio e spazi commerciali al piano terra degli edifici a torre. Purtroppo, molte di queste idee non furono realizzate. Rimase solo un edificio su Corso Toscana, che ospitava negozi artigianali al piano terra e alloggi al primo piano.
Servizi mancati e spazi commerciali
Tra i servizi previsti, alcuni non vennero mai costruiti, come una cappella e un centro sociale. Tuttavia, il villaggio ospitava piccoli negozi di quartiere, tra cui una latteria, un panificio, un barbiere e un calzolaio, che rappresentavano un punto di riferimento per gli abitanti. Questi esercizi commerciali hanno contribuito a creare un senso di comunità, offrendo spazi di incontro e socialità.
Negli anni, la mancanza di una manutenzione adeguata e di una visione d’insieme ha fatto sì che alcune strutture perdessero la loro funzione originale. Ciononostante, il Villaggio di Santa Caterina conserva una certa vitalità grazie all’impegno di alcuni residenti e associazioni locali.
Il Villaggio di Santa Caterina è un esempio significativo di edilizia popolare del dopoguerra. Pur con alcune criticità, ha cercato di rispondere ai bisogni abitativi e sociali di comunità diverse, creando un tessuto urbano eterogeneo e vivo. Ancora oggi, rappresenta una testimonianza importante della storia di Torino e della sua evoluzione urbanistica. Con un maggiore investimento nei servizi e nella riqualificazione degli spazi, potrebbe tornare a essere un modello di integrazione sociale e architettonica.



